A casa di Dio

Era il luglio del duemila e dodici, e c’era un tempo della madonna. Non è che tirava vento, non ancora, ma lo sentivi che stava per venire giù il mondo. Marcello e il macedone erano andati a chiudere tutta la roba, gli ombrelloni, i lettini, e in quel momento aveva iniziato a piovere, a diluviare. Marcello era tornato su per primo, invece il macedone era rimasto sulla riva non si sa a far cosa. Era un tipo alto con gli spalloni, il macedone, e c’aveva la testa quadrata.
Quando Marcello era arrivato sotto la tettoia, il suo capo era lì impalato con le braccia conserte che guardava il macedone laggiù sulla riva. Era incazzato a bestia il capo, e continuava a dire: «Ma perché non torna su, quel somaro? Perché non torna su?»
Marcello faceva una gran fatica a non ridere, ma allo stesso tempo era anche preoccupato.
Per fortuna, dopo cinque o dieci minuti, il macedone si era incamminato sulla passerella e stava risalendo verso di loro. Appena il capo l’aveva visto partire, gli era andato incontro correndo, incazzato sul serio, e Marcello l’aveva seguito. Il capo era molto grasso e aveva i baffoni, sembrava l’oste di una commedia, e di solito non scherzava mai e non correva mai.
Mentre camminava, il macedone aveva visto che il capo era bello incazzato, così aveva guardato Marcello, da lontano, e già gli veniva da ridere a tutti e due. Allora quando il macedone è arrivato su, il capo l’ha preso per una spalla e gli ha detto: «Sta’ a sentire. Se giù fa brutto tempo, voi dovete tornare subito, perché dopo è un attimo… Un fulmine vi becca e andate a casa di Dio.»
Su “a casa di Dio” il macedone e Marcello si son guardati, e a Marcello gli è andata bene che era un po’ dietro, che a lui il capo non lo vedeva, perché stava morendo dal ridere. Ha fatto finta di buttare una roba nel bidone, ma c’aveva le lacrime in faccia.
Il macedone, invece, praticamente gli rideva in faccia al capo, ma il capo era troppo preso dal temporale, ed era come se non lo vedesse.
Finita la ramanzina, tutti e tre si erano riparati sotto la tettoia, ma non fecero in tempo a dir niente che venne giù un fulmine, là, sulla riva, che spaccò la sabbia con una briscola tremenda.

Un uomo!

Lavoravo al seggio elettorale, era per il referendum del duemilasedici, l’ultimo che c’è stato, quello che ha schiantato Renzi. Saranno state le quattro del pomeriggio, finalmente, il primo momento morto dopo l’ondata della mattina, tutto quel via vai di gente, la fila, le carte d’identità, le patenti spellate, le nonne, uomini, donne, e certi che venivano col cane; si vota col cane, adesso? Stavamo parlando un po’, io e Carlo. Carlo era l’altro scrutatore. Lui si era preso il registro delle femmine e io quello dei maschi, perciò lui chiamava le donne, io invece chiamavo “un uomo!”, di continuo, uno dietro l’altro, “un uomo!” e le donne là, sulla porta, si giravano indietro e ripetevano “un uomo!”, e finalmente un uomo entrava. Veniva da me, io registravo tutto, e poi l’uomo andava a votare. Come dicevo, verso le quattro del pomeriggio, in un momento di calma, quando molli, che ti stravacchi sulla sedia, sbadigli a cannone, e ti parte anche lo spirito di scherzare, in un momento così, è arrivato questo qua, un certo Castellani, sui cinquanta. Aveva i capelli che gli stavano su a strati, come il Grand Canyon, e le attaccature nere dei denti alle gengive, nere, nerissime. Castellani ci ha messo del tempo per votare, nella cabina, forse era indeciso. Carlo, intanto, c’aveva sotto mano la carta d’identità di una che si chiamava Silvia, che a suo tempo aveva un moroso che andava in motocross. La Silvia aveva votato in un baleno, si vedeva, non aveva dei gran dubbi dietro gli occhi. E quando Castellani era tornato da me a riprendersi i suoi documenti, mentre pensavo a cosa mangiare dopo, e ai cani in fila fuori, a quanti cani ci sono, e a quanto sono pochi i ragazzini per strada ultimamente, mi è scappata di bocca una roba soprappensiero. Non l’ho fatto apposta. È che mi ero rilassato troppo. Ho detto: «Prego, Castellàz», e gli ho allungato i documenti. Castellani li ha presi e ci ha pensato un attimo a quel Castellàz, mi ha guardato da lì, in piedi, e io l’ho guardato da seduto, basso come un cane. Poi lui ha detto: «Cosa?»
Carlo ha cominciato a ridere sottobanco, piegato con la faccia sui registri, che scriveva per far finta di far qualcosa. Anche me è venuto da ridere, poi la gravità mi ha circondato e ho sentito il rischio tutto attorno, il pericolo, non sapevo cosa fare, cosa dire, se scusarmi; ho detto: «Mi scusi?»
E Castellani fa: «Ci si diverte qui.»
A quel punto mi sono girato verso le donne sulla porta, in fila, per suggerirgli che invece c’è da fare, e che è ora che si levi dai coglioni. Sono tornato serio tutto d’un botto, ed ero pronto per dire una parola netta, solida, e cavarmelo da lì davanti, ma senza darmi il tempo di aprir bocca, Castellani ha preso su i documenti, così, agilissimo, ed è andato via. E con tutta un’altra voce, che ci ero rimasto un po’ sconfitto, ho chiamato: «Un uomo!»

Il passato e il futuro

“Quando consideriamo qual è il fine principale dell’uomo, per usare un’espressione del catechismo, e quali sono le vere necessità e ricchezze della vita, ci sembra che gli uomini abbiano scelto il modo di vivere attuale perché lo preferivano a qualunque altro. Pensano onestamente che non gli sia stata concessa alcuna scelta. Ma le nature attente e in salute rammentano che il sole sorse limpido. Non è mai troppo tardi per liberarsi dai pregiudizi. Non ci si può fidare di nessun modo di fare o di pensare, per quanto consueto, senza averne prima sperimentata la verità.
In realtà i vecchi non hanno consigli importanti da dare ai giovani, poiché la loro esperienza è stata parziale e la loro vita un triste fallimento, non certo per colpa loro, o almeno così sono costretti a credere.
Ho vissuto circa trent’anni su questo pianeta, eppure devo ancora sentire la prima sillaba di un consiglio prezioso o almeno sincero in bocca a qualcuno più vecchio di me. La vita è un esperimento che in gran parte non ho ancora provato, e il fatto che i vecchi lo abbiano fatto non mi è di alcun giovamento. Se posseggo un po’ di esperienza che stimo preziosa, sono certo che i miei mentori non ne hanno mai parlato.
La natura e la vita umana sono varie quanto i nostri modi d’essere. Chi può dire cosa offre la vita agli altri? C’è un miracolo più grande del riuscire a guardarci l’un l’altro negli occhi per un istante? Dovremmo vivere tutti i secoli del mondo in un’ora, anzi, vivere insieme tutti i mondi lungo i secoli. Storia, Poesia, Mitologia! Non conosco nessuno studio dell’esperienza altrui altrettanto istruttivo e sconvolgente.
Sono convinto che la maggior parte di ciò che gli uomini reputano buono è cattiva; e se mi pento di qualcosa, molto probabilmente mi pento delle mie buone maniere.
Io credo che potremmo avere molta più fiducia di quanta ne abbiamo. E potremmo liberarci dall’apprensione per noi stessi se ci donassimo sinceramente ad altro.
La continua ansia, la tensione di alcuni di noi è quasi una forma incurabile di malattia. Tendiamo a esagerare l’importanza del lavoro che compiamo, eppure quanto di questo non è opera nostra! Cosa succederebbe se ci ammalassimo? Come siamo vigili!
Confucio disse: «Sapere che sappiamo quel che sappiamo e che non sappiamo ciò che non sappiamo è il vero sapere.»”

Henry David Thoreau
Walden ovvero Vita nei boschi

La vita è così

«È la più bella spiaggia del mondo, io ho girato quasi tutto il mondo, ma Torre Pedrera, adesso dico Torre Pedrera perché sono a Torre Pedrera, ma Rimini, faccio per dire, la riviera adriatica… L’America, l’America cos’è di fronte a noi, niente! Mi chiamano Zizì e le donne quando sentono Zizì hanno voglia di venire con me, insomma, ecco. Sono un personaggio… Raffinato. Sono uno che sono un po’ particolare. Perché io ho avuto la pelliccia cinquant’anni fa che ancora non c’era, ce l’avevo solo io sulla riviera, però non è che io ho comprato la pelliccia perché voglio che la gente mi guarda, è la mia personalità, io son buono di metterla magari due mesi e poi stare un anno senza metterla, hai capito? E forse perché anche finanziariamente sono sempre stato bene, hai capito… La mia vita son le donne, sono, e finché sono vivo, la donna è la prima roba. Io ne ho avute tante e ne ho ancora tante che non so dove buttarle. Una quand’è stata con me un’ora, faccio per dire, o due ore, magari la porto al Paradiso, la porto al Bilbò, la porto al Rose & Crown e giù di là, lei si va a divertire e io mi diverto, hai capito? Ormai ho sessant’anni, non son più un bambino. Quando ero più giovane avevo una bellissima macchina, avevo una bella moto, andavo al night, andavo a ballare, andavo al ristorante, e dove andavo io, dopo cinque minuti, dieci minuti, eravamo in dieci, quindici, venti perché con me la gente sta bene. Si divertono, li tengo su… E la faccia insomma non mi manca. Poi quando ti sei fatto un nome, le donne sono così, sono, hai capito? Se ce ne hai una, ne hai due, tre, quattro, cinque, se non ce ne hai neanche una, non ce ne hai neanche una. La mia tecnica è che come parlo normalmente parlo anche con le donne. Io non tartaglio quando parlo con le donne, oppure divento rosso, oppure ho paura di parlare, di qua e di là. Io non lo so cosa c’ho, se il signore mi ha fatto un dono di natura, di qua e di là… Io quando sono con una donna, dopo cinque, dieci minuti, un quarto d’ora, non dico che potrei farci l’amore di qua e di là, però vorrebbero venire con me. È normale, non tutte. Invece tutti i miei amici ci vanno a parlare e gli dicono, “Ma cosa vuole? Ma chi ti conosce?” Invece io rimango lì e le ipnotizzo, e non so il motivo, boh. E tutti i miei amici me le lasciano a me perché io ho questo dono che loro non ce l’hanno. E invece una volta per dare un bacio a una ragazza ci voleva settimane e settimane, era più bello, era… Però si va dietro alla vita, si va dietro, no? La vita è così, si va dietro così.»

Paolo Cima, alias Zizì

Mi ricordo

Mi ricordo quella volta che il mio amico Jacopo, che era più grande, ci aveva spiegato come si fa a farsi le seghe. Sembrava una roba impossibile. Allora ero andato a casa e ci avevo provato subito, ma non era successo niente. Poi ci avevo riprovato e riprovato e riprovato, ma niente. Per un po’ di tempo ho pensato che ci avesse presi tutti per il culo.

Mi ricordo quando Di Biagio ha preso la traversa nel ’98, che ero seduto per terra, in cucina, e la mia mamma mi ha guardato come se fossi stato io.

Mi ricordo che una volta ho fatto una scritta con la bomboletta sotto casa di una. Avevo disegnato un cuore e dentro ci avevo messo la mia iniziale più la sua iniziale. Il cuore era venuto un po’ schiacciato da una parte, ma ero contento. Il giorno dopo i miei amici erano andati a vederlo e mi avevano riempito di domande. Uno mi aveva chiesto se lei me l’aveva data. Se io ero vergine non me lo chiedevano. Sembrava che vergini dovessero essere solo le femmine.

Mi ricordo la prima volta che ho sentito i miei che scopavano. Mi ricordo che avevo avuto una gran paura perché mi sembrava che mia mamma stesse piangendo. Mi ricordo che poi, quando ho sentito mia mamma piangere per davvero, non ho sentito niente.

Mi ricordo che da piccolo facevo le preghiere per chiedere le cose a Dio, tipo per non farmi interrogare a scuola, o per farmi sparire i brufoli, e per compensare ci mettevo anche un pensierino sui terremotati di San Giuliano. Mi ricordo che poi ho smesso di fare le preghiere, e poi ho ricominciato, poi ho smesso, poi ho ricominciato, poi ho smesso…