Quanti anni hai?

Foto di Marco Pesaresi
sulla transiberiana Mosca – Vladivostok

Mi è successa una cosa, qui a Malta, adesso abito in un residence, è pieno di studenti stranieri, russi soprattutto, o lettoni, gente del nord, pelle bianca, occhi chiari, vanno dai 14 ai 17 anni… Io mi occupo solo di italiani, ma poi i gruppi si mischiano, i ragazzi fanno amicizia. E insomma c’è uno dei miei, un certo Mario, viene da Napoli, che l’altro giorno ci ha provato con una della Lettonia che la chiamano Mortisia. Sembra una vampira, si veste sempre di nero, alta, e la sera gira mezza nuda, si profuma tutta e ti passa vicino, in mutande. Uno spettacolo. Quando l’ha portata in camera, Mario, lui è uno che non scherza, da grande vuol fare il militare, ci ha messo un gran impegno, in inglese, per convincerla, ma Mortisia non l’ha voluto baciare. Gli ha detto di no, a Mario. E gli ha detto anche il motivo. Gli ha detto che le piaccio io.
Io?
Erano giorni che mi guardava, Mortisia, sempre in posa, ma mai una parola. Non pensavo che arrivasse a tanto. Le ragazzine guardano un po’ tutti, e invece… Mario era disperato, proprio.
Così quella sera, per dimenticare, io e Mario e tutti gli altri, gli italiani, poi si sono aggiunte qualcuna di loro, lettoni, russe, li ho portati a fare un giro a Lija, un paesino. C’era la festa di paese, e mentre eravamo fuori dalla chiesa, tra la processione, con la gente che entrava e usciva, mi sento chiamare, da dietro. Mi giro e vedo questa ragazzina, bionda anche lei, occhi di un azzurro… Mi dice:
«Sono molto nervosa, ma voglio dirtelo perché è la mia ultima sera a Malta, domani parto», e dopo un po’ mi confessa, parlava velocissima, che io le piaccio, le piaccio dal primo giorno, e che le piace il mio sorriso.
Un’altra?
Non sapevo neanche il suo nome. C’era anche Mortisia, lì vicino, che ci guardava male, e questa ragazzina mi sorrideva, gli occhi un po’ nascosti, che arretravano. Era una cosa unica da vedere. Di sicuro non son stato all’altezza, chissà che forma ha preso la mia faccia.
Le ho detto solo grazie. Lei ha detto qualcos’altro, poi le ho chiesto:
«Quanti anni hai?».
«15», ha detto. Io ho detto 27 e siamo scoppiati a ridere. Mi è piaciuto ridere con lei. C’era questo ostacolo di mezzo, tra noi due, gli anni, che puzzava di ruggine, una roba che non conta niente nell’universo. Come quando vai in banca, che ti danno un bancomat nuovo, in teoria dovresti firmarlo, dietro, e ci pensi un attimo, pensi: lo firmo? Tempo due minuti e non lo firmi, tanto nessuno lo firma e non serve a un cazzo.
Le ho chiesto gli anni per farle capire che non l’avevo mai guardata. Ho dato la colpa all’età. Non sono riuscito a far di meglio. Poi lei ha allungato la mano per stringere la mia, e ci siamo stretti la mano. Fine.
Quando l’ho raccontato a Mario, di lei che mi si era dichiarata, un ridere… Lui ha detto che se vado in Lettonia mi fanno Re in due e due quattro. Poco dopo sono cominciati i fuochi d’artificio, e mi son sentito esplodere dal dispiacere. Ho pensato, ma non poteva tenerselo per sé? Invece ha fatto bene, lei, si fa così con la vita, bisogna dare tutto. Altroché Mortisia, è inutile star lì a pavoneggiarsi… In quel momento mi sono accorto che c’è ancora tanto di bello, in giro, nelle persone, nel mondo. Basta poco per trovarlo, bisogna avere il coraggio. Essere presenti.
Ancora ci penso a lei. Mi è dispiaciuto, perché era sensibile, suonava l’ukulele al mare, canticchiava, e io non stavo lì a guardarla troppo, quando una persona suona, per non dare imbarazzo. E invece l’altra sera, poco prima che andassimo a Lija, mi ero seduto anch’io in reception, a vedere, mentre suonava. Lei mi aveva guardato, per un attimo, in un modo…
Mi trovo molto bene con le russe (quelle più grandi), perché sono leggere. Sanno chi sono, loro, e da dove vengono, hanno delle radici, un’identità. Purtroppo con le italiane non ho più niente da spartire. È che si son perse nelle stronzate e non hanno conservato niente. Non so chi gliel’ha suggerito, alle italiane, di diventare così. Hanno espulso la loro parte migliore, mi sembra.
Le lascio agli italiani, le italiane. Se le tengano. Tutte piene di smargiasseria… Smargiasseria, lo voglio spiegare, è come uno che ha smesso di fumare da una settimana e va dai suoi amici che fumano, fa il gasato e dice: «No grazie, io ho smesso».
Fanno le fenomene mediatiche, le italiane. Ridimensionatevi un attimo, che vi fa bene.
Adesso lei è tornata a casa, chissà dove, io sono ancora qui, a Malta, con Mario, e nel residence non c’è più neanche Mortisia. Se un giorno mi dovesse andare male in l’Italia, magari una capatina lassù, in Lettonia, Estonia, o Russia, davvero, la farò. Ho questo sentore di grande accoglienza verso di me, e mi piacerebbe, stare un po’ al fresco, vedere se le donne hanno ancora quei nomi come nei libri di Dostoevskij, e se sono ancora così, un po’ più donne, e un po’ meno… Un po’ meno italiane.

Un miracolo

Oggi sono uscito in anticipo, avevo il treno a una cert’ora, a stare in casa mi veniva male, così son andato giù fino alla stazione, sotto il sole, a piedi. Faceva caldo, e vicino alla stazione, lì di fianco, c’era un cantiere. Di quelli dei muratori, ancora non troppo avanti, avevano messo le fondamenta e lo stavano tirando su; di sicuro un condominio, una palazzina sarebbe venuta fuori. Era grande, con le impalcature, i tubi e i mattoni, e in alto, in cima alle impalcature, c’era un uomo, da solo, che lavorava. Lassù, senza maglia, sotto il sole, col martello, piantava dei chiodi, poi spostava le robe, montava… Sembrava il creatore di tutto il cantiere, dei muri, dei tubi, delle impalcature. Era tutto suo, sembrava.
Ho pensato: ma guarda te che forza che ha quell’uomo, da solo, a tirar su un condominio, sotto il sole, a lavorare. Poi quando torna a casa, la sera, è stanco? Cosa fa, dopo, a casa? È sposato? Mi son guardato le mie braccia, gli avambracci, che son magri i miei, anche i polsi, e poi ho guardato i suoi, le sue braccia, lassù, in cima al cantiere, che stava alzando una trave per appoggiarla contro l’impalcatura. Le sue braccia forti, le sue mani da muratore.
Ma se quell’uomo lì, che è circa come me, nel senso, siamo due uomini, abitiamo anche abbastanza vicini probabilmente… Se lui, col suo impegno, sotto il sole, tira su un condominio, allora io, posso farlo anch’io, se m’impegno, qualcosa di buono. Sono un uomo anch’io, come lui.
Sono andato avanti, ho superato la stazione, e ogni tanto mi giravo per vedere il condominio e quell’uomo, in alto, che lavorava con calma, una cosa dopo l’altra, faceva tutto, senza lamentarsi. E chissà quante altre ne ha tirate su, di case, prima di oggi, mica è la prima. Chissà quante ne ha fatte, in silenzio, senza il plauso di nessuno. Chissà quanta roba ha fatto.
Ho pensato a tutte le case che ci sono, qui, nel mio paese, e poi nel mondo, a tutti gli uomini che le hanno costruite, tutti quegli uomini, da soli o a gruppetti, che giorno dopo giorno han tirato su le case, piano piano, sotto il sole, o anche sotto la pioggia… Perché è il loro lavoro, e loro fanno quello, dalla mattina alla sera. Per un momento mi son sentito orgoglioso, di far parte degli uomini, delle persone in generale, queste persone qui, con le mani sporche, che lavorano, fanno le cose come le sanno fare, come hanno imparato.
E dopo un po’ di tempo, in un posto, in un prato, un campo dove prima non c’era niente, vien fuori una casa, non una capannina, ma una casa, un condominio, una roba che dura per un secolo, anche. Mi sembra un miracolo. È bellissimo.

Cretinetti

L’altro giorno ero a pranzo con della gente, e scappa fuori ‘sto ragazzo, con la crestina, l’orologio moderno, di quelli col contapassi, tutto curato, la barbetta, e dice che lui ha fatto il cammino di Santiago. Ah, il cammino di Santiago, tutte lì a sbragarsi, che bello, lo voglio fare anch’io prima o poi, dicevano, che bravo, quanti chilometri, e tutte quelle domandine. E lui lì, che rispondeva, dava tutto per scontato, come uno che ha visto tutto nel mondo, e sembrava un eroe tornato al fronte, l’imbecille. Ha raccontato che ha preso la neve, neve fino al ginocchio sui Pirenei, diceva, e poi gli hanno chiesto, ma dove dormivi, in tenda? E lui, no, negli ostelli.
Casca l’asino, ho pensato.
Gli fanno, ma con chi sei andato, da solo? Ah, sì, ovvio, ha detto lui, il cammino di Santiago o lo fai da solo o non lo fai. E tutte, bravo, bravissimo, anch’io voglio farlo da sola…
Dopo il cretino ha raccontato che c’era gente, un sacco di gente a farlo, da tutte le parti del mondo, giovani e vecchi. Ma non eri andato da solo? Ma se vai per farlo da solo, ‘sto cammino, e poi siete in 75, come una processione, come quelle comitive di morti che passeggiano coi bastoni e le pettorine, ma che roba è. Ti pare che sia andare da soli una cosa così? L’orologino che hai al polso non te le dice queste cose? Il fon con cui ti tiri su quella crestina sopra la testa, la mattina, non ti fa un po’ d’aria al cervello?
Da solo. Cos’hai fatto, da solo? Avrai fatto la doccia in ostello, da solo. Rincoglionito. Ma niente da fare, tutte lì, le donnine, pendevano dalla sua bocca.
Alla fine del pranzo ho salutato tutti, compreso il cretino, ciao, poi ho deciso che il cammino di Santiago non lo farò mai. Voglio perdermi dietro casa mia, la sera, in un fazzoletto di giardino, quando ci sono le zanzare, le lucciole, e i miei pensieri che han voglia di andare lontano.

La seconda mandata

Frame dal video di Something just like this
dei Coldplay

L’altro giorno ho visto Niki, che era un po’ che non lo vedevo… Lui nel frattempo è diventato un imprenditore, dice, e ha fatto i soldi, ha le giornate piene: dorme 4 ore a notte, vuol comprarsi il motorone, e morosa nuova, una di Santa Giustina, io invece son messo peggio che prima. E insomma siamo andati lì sul suo terrazzo, a parlare un po’, con due sigarette, i piedi nudi, seduti stravaccati, che lui abita fuori, in campagna, in un posto dove c’è un silenzio, ma un silenzio… Si vedono i contorni delle colline, la notte, e non vola una mosca. Fa più fresco che su a Torriana, da lui. Ti vien freddo.
Abbiamo parlato per lo più del tempo, di come adesso non ci sono più i giorni, nelle nostre vite, almeno nelle nostre due, e non è più come una volta, che aspetti quel giorno là, per far quella cosa, o per riposarti, no, adesso tutti i giorni hai qualche pensiero, e lo vivi per intero, fai tutto dentro quel giorno, e così i giorni passano e non te ne accorgi, si ammucchiano uno sull’altro, e il futuro non è più brillante come lo era prima, non ti immagini “ah, quel giorno lì andrò, farò…”, no.
Vivi i giorni, e prima o poi ci arrivi, a quel giorno lì, e alla fine non è che succederà poi tanto, lo sai già. Il fatto è proprio che lo sai già. Non succede mai chissà che, quand’è la fine.
Abbiamo imparato che le cose, per farle andare bene, bisogna lavorarci negli anni, i miracoli non succedono, è inutile sperare che un giorno… L’abbiamo proprio dimenticata la speranza, l’abbiamo rimossa. Non c’è più dentro di noi. Forse è brutto, ma è così. Vuol dire che l’abbiamo preso in culo tante di quelle volte, a sperare, che non ne siamo più capaci. Le delusioni ci hanno smussato. E non è un male, per carità. Il mondo ti fa sentire che esisti attraverso la sofferenza; è il suo modo di risuonare dentro di te, io penso. Quindi ok.
È che siamo diventati vecchi. Non troppo, ma un po’ sì.
E poi abbiamo parlato del fatto che ormai non si riesce più a stringere niente, con le donne, che l’intimità è scomparsa. Anni fa volevamo provare tutto e non legarci a nessuno, ed è andata a finire che siamo rimasti con le mani vuote. Che è sbagliato. Su questo siamo d’accordo. Inutile dire “ah beh, io ho provato tutto, son stato con cento donne” e bla bla bla, “invece quell’altro che si è sposato a 19 anni e ha un figlio non sa cosa si è perso, non ha vissuto”. Noi non sapremo mai cosa vuol dire stare 15 anni con la stessa ragazza, che avventura possa essere…
Adesso si cambiano le persone come ti cambi una maglia sporca. E il tempo va avanti, giorno dopo giorno, oggi abbiamo pensato questo, domani ognuno per i cazzi suoi, con altri pensieri.
Abbiamo parlato anche di uno, una testa calda che adesso si è trasferito a Parma, ma comunque lo seguiamo su Facebook, il nome non posso dirlo, giocava a calcio con me da piccoli, che mette sempre le foto di sua figlia, una bambina, avrà 6 anni, quando ci passa del tempo insieme; si è separato dalla sua ragazza, è palese, e ogni fine settimana va a trovare sua figlia, e mette le foto, lui e la sua bimba, ma si vede che un giorno qualcosa è andato storto, con la sua ex, perché invece che mettere le foto della bimba, ha scritto, lui, su Facebook: “Facevi schifo come compagna, fai schifo come donna e fai schifo come mamma. Muori merda. #soldiepauramaiavuti”.
Nello spogliatoio, a calcio, era il più peloso di tutti. Sotto la doccia cantava e usava una quantità di sapone indicibile, faceva una schiuma della madonna. Era uno che quando gli parlavi, se gli dicevi qualcosa di scomodo, o ti tirava un calcio sugli stinchi o girava la faccia nel vuoto. Soldi e paura mai avuti, lui.
Poi abbiamo parlato anche della “seconda mandata”. Niki ha detto che adesso, nel giro di poco, ci sarà il secondo giro, quelli che si mettono insieme verso i trenta e sfigliano entro i 35. In effetti, ci pensavo, mio babbo ha fatto così. Si è sposato a 32 anni. Mia mamma però ne aveva 23. Furbo mio babbo. La seconda mandata l’ha presa al volo, mio babbo. Si vede che anche lui e i suoi amici ne parlavano di queste cose. Sta’ a vedere che faccio la stessa fine, ho pensato. Non lo so e non lo voglio sapere. Neanche Niki lo vuol sapere.
Per adesso ci basta sentire questo silenzio, che è incredibile, qui, sul suo terrazzo, non si sente niente, i contorni delle colline son netti, fa un po’ freddo, le luci qua e là, non una voce. Il tempo sembra fermo. E invece no, non è fermo, il tempo, col cazzo che sta fermo…