Per chi è indifferente alla notorietà

Io ringraziare desidero per le facce del mondo
che sono varie e molte sono adorabili
per quando la notte
si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati
per l’attenzione
che è la preghiera spontanea dell’anima
per tutte le biblioteche del mondo
per quello stare bene fra altri che leggono
per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi

per il bene dell’amicizia
quando si dicono cose stupide e care
per tutti i baci d’amore
per l’amore che rende impavidi
per la contentezza, l’entusiasmo, l’ebbrezza
per i morti nostri
che fanno della morte un luogo abitato.

Ringraziare desidero
perché su questa terra esiste la musica
per la mano destra e la mano sinistra
e il loro intimo accordo
per chi è indifferente alla notorietà
per i cani, per i gatti
esseri fraterni carichi di mistero
per i fiori
e la segreta vittoria che celebrano
per il silenzio e i suoi molti doni
per il silenzio che forse è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.

da Le giovani parole
di Mariangela Gualtieri
[Einaudi, 2015]
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Dio

Tra la Via Cupa, la biblioteca, sono sempre in giro a bighellonare. Camminavo, era mattina, le sette o le otto, giusto per far due passi, e ho visto che c’era la porta aperta, in chiesa. Quella chiesina che ho vicino a casa, che la frequentano in pochi, giusto la domenica. Si vedevano le panche, dentro, le vedevo dalla strada, e poi oltre le panche si vedeva la parte fuori, dietro la chiesa. A quanto pare avevano aperto anche l’altra porta, sulla parete in fondo. C’era un po’ di sole, l’aria fresca, nessuno. In quel momento mi è sembrato di sentirle, quelle panche, cosa provavano, con l’aria fresca addosso, un filo di luce. Mi ero fermato a guardare, di qua dalla strada, non mi sono avvicinato, sono rimasto lì, ho pensato: e se da quella porta esce Dio?
Mi sembrava che Dio ci fosse già entrato, nella chiesina, da quella porta, magari prima che arrivassi. Era come se lo sapessi, e che quindi sarebbe dovuto uscire. Ero sicuro di aver capito. Non ho le prove e non voglio convincere nessuno, ma nella mia testa era tutto chiaro, facile: il Dio che era entrato erano l’aria e il sole, e il Dio che usciva erano quelle panche, rovinate, luminose, lucide come mi sentivo io, o come ci si sente tutti, di mattina presto col sole e l’aria fresca.
Se Dio è questo, ho pensato, se siamo noi e le panche, e tutte le cose in generale, se Dio è quello che ci sorprende, di mattina, che basta aprire la porta di una chiesa poco frequentata; se Dio è quello che entra e quello esce, e se uno qualunque che passa di lì, ma chiunque, con un po’ di luce e un minimo d’aria fresca può vederlo, insomma, se Dio si può vedere, ho pensato, che magari si può vedere solo dalle sette alle otto di mattina, una fascia oraria ristretta, ma se davvero si può vedere, allora Dio c’è.
E se c’è, vuol dire che se uno lo cerca, lo può trovare. Forse bisogna cercarlo solo dalle sette alle otto, nei giorni di sole. Sempre meglio che niente. Sempre meglio che passar la notte a pregare, perdere il sonno per chiedergli le cose. Non può mica far contenti tutti, siamo in troppi. E a lui chi ci pensa? Chi ci pensa a Dio, se è contento?
Quella mattina, con la porta aperta della chiesa, un po’ di sole e l’aria fresca, di qua dalla strada, io ho sentito che era contento, Dio. Le panche erano lucide, si vedeva il retro della chiesa, e sono abbastanza sicuro che, sì, che Dio fosse contento. E io ero più contento di lui.

Sìììì

Allora domani ho questa giornata piuttosto pesante, che mi devo svegliare prestissimo, ma voglio comunque vedere dove vuole andare a parare, Agata. Che sarà anche rossa, però io sento che sto reagendo in un certo modo inconfondibile. Spegni la luce, che mi vergogno, mi dice, e spogliati. Eseguo. Lei dice Non forzare niente, non forzare niente, mi prende in mano il cazzo e comincia a dire Com’è duro. Com’è grosso. Che cosa mi faresti con questo cazzone?
Io veramente queste cose di amore dialettico non le ho mai frequentate. Comunque ci provo: Ti prendo da dietro, le dico. Lei dice Sìì, e poi. E poi? Poi ti spacco in due come un melone, le dico. Sìììììì, dice lei, e poi? E poi, cosa le faccio? mi chiedo, che non so cosa dirle. Comincio a stantuffarti come un battello a vapore, le dico. Sìììì, dice lei, e poi? Cosa mi invento adesso? Meno male che si è bevuta il battello a vapore. Learco, e poi? insiste lei. Eh, poi ti infilo un dito nel culo. Sììììì, grida, sììììì, e poi? E che do bali. E poi ti faccio godere come una troia Sììììì. E poi ti rigiro e ti piscio in bocca tutta l’anguria che ho mangiato oggi Sììììììì, sìììììììì. Tutte le cose che mi piacciono, hai detto tutte le cose che mi piacciono, grida, ma lo grida con un tono che sembra che sia tristissima. Infatti lascia la presa e mi dice Mandami a casa, mandami a casa. Vai a casa, le dico, e mi scappa da ridere. No, adesso mi prendi da dietro, dice lei, e si gira e io comincio a tirarle giù le mutande, ma lei grida No, non forzare niente, non forzare niente. Cosa fareste, voi? Io, in questi momenti di indecisione, di solito mi accendo una sigaretta. E faccio così, vado in sala, prendo le sigarette dalla giacca e mi accendo una sigaretta. Learco! sento che mi chiama. Oh, le dico, e vado in camera. Accendi la luce, mi dice, che voglio che mi vedi tutta nuda. Accendo la luce. Lei è nuda. Si tocca. È stupido, vero? mi dice. Non è stupido, secondo te? Io non dico niente, che voglio vedere dove vuole andare a parare. Coricati di fianco a me, mi dice, e io mi corico e lei di nuovo mi prende il cazzo in mano e comincia a dire Com’è grosso. Com’è caldo. Me lo immagino tutto dentro di me. Cosa mi faresti, con questo dentro di me? Uguale. Ti prendo da dietro, ti spacco in due come un melone, comincio a stantuffarti come un battello a vapore, ti infilo un dito nel culo, ti faccio godere come una troia. Sììì, sìììì, sìììì. Tutte le cose che mi piacciono. Mandami via, mandami via.
La prima volta, va bene, la seconda, basta. Non siamo mica in un videogioco, che bisogna ripetere sempre le stesse cose. Questa è la vita reale, che si rischia inavvertitamente di tirarsi in casa dei matti furiosi, se non si sta attenti. Allora, dopo la sigaretta, vado in camera e le dico Cazzo, Agata, ma lo sai che ora è? No, dice lei. È l’una e mezza, è tardissimo. Io domani mi devo svegliare alle sette, le dico. E allora? chiede lei, appoggiata sul gomito destro, con una faccia tutta contrariata. Io, le dico, se non faccio due cicli di sonno, il giorno dopo sono una larva. E domani non posso assolutamente permettermi di non essere in forma, che devo fare una cosa importante in un castello. In un castello? dice lei. Eh, in un castello. Scusa, ma non ho tempo di spiegarti, che ogni minuto che passa sono minuti che rubo al mio secondo ciclo di sonno, il più importante. Senti, io dormire in due, non ce la faccio. Ti dispiace andare a casa? Dovresti però cambiarti in sala, che io mi infilo subito a letto, che non ho un minuto da perdere.
La beve, o fa finta di berla, che questa era ancora più grossa di quella del battello a vapore. Se ne va senza dire parola, con la faccia contrariata.

da Bassotuba non c’è
di Paolo Nori
[Feltrinelli, 2009]