Poltroncina

Sono andato due ore in biblioteca, a leggere. A un certo punto è arrivata una ragazza, era con dei suoi amici. Io ero seduto sulla poltroncina nera, perché i posti erano finiti. Lei, dopo aver visto che i posti erano finiti, mi ha guardato con sorpresa. Non ho capito se ero io, la fonte della sua sorpresa, o il fatto che non c’era nemmeno un posto a sedere. Poi è andata via, e si è portata via anche i suoi amici.

Phenibut

Ho chiesto a Violante: «Cosa ci hai fatto, poi, con quei centoquaranta euro che hai trovato per terra?». «Ho comprato il Phenibut», mi ha detto lei. «L’ansiolitico che usavano i cosmonauti russi». «E l’hai provato?», le ho chiesto. «Ancora no», ha detto Violante. «Lo provo domani». «Fammi sapere se fa, appena lo provi», le ho detto. «Certo che no», mi ha detto lei. «Mica sono la tua cavia».

Essere come

Un giorno, forse, troverò la pace. Come quando cammino e in giro non c’è nessuno, solo la nebbia, i lampioni, il freddo e le foglie d’erba, per terra. Questa pace, intendo, ma dentro di me. Essere come una passeggiata di notte.

Specchi

Io, molto spesso cerco gli specchi. In libreria, quando salgo in macchina, sulle vetrine dei negozi, in casa quando passo in corridoio, sulla televisione spenta, sul vetro del forno mentre guardo se la pizza surgelata è cotta. Controllo come mi stanno i capelli e se la mia faccia ha una qualche dignità.
Stamattina ero al bar. Nel bar dove vado io c’è uno specchio gigante, che si vede anche da fuori. Passava una signora, fuori. Una signora di quelle imbellettate e truccate molto bene. Camminava di fretta. Ha lanciato un’occhiata dentro il bar, verso lo specchio, con un disprezzo per sé stessa che ho pensato: guarda, siamo in due.
David Foster Wallace diceva: se t’impegni per essere bello, se rincorri la tua vanità su uno specchio, o anche non su uno specchio, rimarrai sempre deluso. E col tempo t’incattivisci.
Quindi, ho deciso: da oggi basta specchi. Non mi specchio più da nessuna parte. Dovessi incontrare uno specchio sul mio cammino, una qualsiasi superficie riflettente, mi girerò dall’altra parte. Alla lunga diventerò meglio di come sono, ne guadagnerò in positività, calma interiore, karma. Sì.
La signora, là fuori, non aveva la faccia di una che legge David Foster Wallace. Perciò qualcuno dovrebbe dirgliela questa cosa, un giorno o l’altro. Dovrebbero saperla tutti, ma non saperla e basta: applicarsi. Me compreso. E addio specchi.

Un bel periodo di degenza

Violante dice di aver avuto due virus, questo mese: il citomegalovirus e un altro virus di due parole che adesso non mi ricordo. «Un bel periodo di degenza», le ho detto. «Sì!», ha detto lei. «E tu come stai?». Io le ho detto che da quando lavoro in libreria mi fa male lo stomaco. «Lavorare fa pena», le ho detto. «Ma dài?», mi ha detto lei.
Dopo, mi ha raccontato che lunedì scorso, lunedì diciassette, alle diciassette e diciassette, ha trovato centoquaranta euro per terra, in una piazza piena di gente, a Ravenna. «Non mi è mai successo!». «In che tagli?», le ho chiesto. «Due pezzi da cinquanta e due da venti», mi ha detto.
Poi mi ha detto che doveva dirmi una cosa più bella, molto più bella di questa dei centoquaranta euro. «Dài dimmela», le dicevo io. «No». «Dài». «Noo», diceva Violante. «Che due palle, dì». «Noo, non te la dico». «Perché no?». «Perché non mi sono preparata per dirtela». «E allora?». «E allora non ne traggo il giusto godimento, se te la dico adesso». «Dài dimmela, lascia fluire». «Giammai», diceva lei. «Dài!», dicevo io. «No, te la dico domani. Ciao». Io le ho detto: «Ok, ciao».

Solare

Mio fratello è andato a vedere il Cesena. Abbiamo vinto due a zero. «Agli altri non gli han dato un rigore che era solare», mi dice. Io non l’avrei mai usato l’aggettivo “solare” per un rigore. Un rigore può essere palese, non solare. Una giornata può essere solare. Un rigore è una penalità per una squadra e un premio per l’altra, ha un doppio significato. Solare non ha doppi significati: il sole è luce, non è anche buio.
Molte persone fanno questi errori quando parlano. Cercano il sinonimo bello, invece fanno solo casino. Bisogna starci attenti. Solare può essere sinonimo di palese, ma non può essere usato per un rigore, perché il rigore può essere palese o no, ma in ogni caso non solare. Forse solo un rigore concesso durante i mesi di ora solare può essere un rigore solare. In effetti, adesso siamo nell’ora solare. Allora va bene, il rigore solare. Ok, come non detto.

Le acque

In libreria. Questa volta, una mora col maglioncino a collo alto: «Devo fare un regalo. È per un ragazzo di trent’anni che fa il professore di economia». «Ok», ho detto io. «Di solito cosa legge?». «Non ne ho idea», ha detto lei. «Che gusti ha, in generale?», le ho chiesto. «Mmm», ha detto lei. Poi ha aggiunto: «Lo so, così non ti sono d’aiuto».
Mentre pensavo a che libro prendere, mi sono chiesto se questo ragazzo, professore trentenne, fosse o non fosse il suo fidanzato. Mi sono risposto che non lo era.
Ho preso The game di Baricco e le ho detto che è una specie di saggio, ma non un vero saggio, sulle traiettorie della tecnologia e su come siamo arrivati a essere dove siamo. «Interessante…», mi ha detto lei. «Altro?». Economia, trentenne, professore… «Non mi viene in mente altro», le ho detto.
«Facciamo finta che tu sia lui», ha detto lei. «Cosa ti piace?». «Se vuoi ti faccio vedere gli ultimi che ho letto», le ho detto. Ha annuito. Ho preso L’idiota della Batuman. «Questo parla di una ragazza con una bella testa che studia a Harvard, ma poi quand’è ora di approcciare un ragazzo è impedita come tutti». «Bello», mi ha detto lei. «Ma forse è più per me che per lui».
«Oppure questo», le ho detto. Ho preso L’unica storia di Julian Barnes. «È il racconto di uno che ha avuto una storia con una donna che aveva il doppio dei suoi an…». «No no, questo meglio di no», mi ha detto. «Comunque, è bello sentirti parlare di libri». Avrei voluto dirle, per smuovere le acque: «È bello guardarti da così vicino», invece non l’ho detto. Alla fine ha comprato Baricco.

Una scala

In libreria, una biondina mi fa: «Ce l’avete una scala che devo tirar giù un libro?». «Se vuoi ti prendo in braccio», le ho detto io. «No, peso troppo», ha detto lei. L’ho seguita fino al libro che voleva e me l’ha indicato: era Panino al prosciutto di Charles Bukowski. Mi son messo in punta di piedi e gliel’ho tirato giù. Sono stato proprio contento, che il libro che voleva era quel libro lì.
Poi mi ha chiesto: «E invece, gli scrittori russi?» Ho pensato: guarda te il Signore, da lassù nei cieli, mi ha mandato l’anima gemella. «I russi stanno nel reparto classici», le ho detto. «Ti piacciono i russi?». «Ah no no», ha detto lei. «Io non leggo. Devo fare un regalo al mio moroso, lui i libri li adora». Non l’ho accompagnata, al reparto classici.
Ha comprato Panino al prosciutto ed è andata via.

Il messaggio non era chiaro

Il primo incontro fu buono, un mucchio di sangue e di coraggio. Agli incontri di boxe e negli ippodromi c’era da imparare, per uno scrittore. Il messaggio non era chiaro ma a me serviva.
Ecco la cosa importante: il messaggio non era chiaro. Era un messaggio senza parole, come una casa che bruciava, o un terremoto o un’alluvione, o una donna che scendeva da una macchina e mostrava le gambe. Non sapevo di cosa avessero bisogno gli altri scrittori; non me ne fregava niente, tanto non riuscivo a leggerli. Io ero prigioniero delle mie abitudini, dei miei pregiudizi. Non era male esser stupidi, se si trattava di un’ignoranza tutta propria.

da Donne
di Charles Bukowski
(Guanda, 1999)

Il cervello

Perché il cervello, non è che te puoi indirizzarlo dove vuoi te, il cervello, che te gli dici Pensa delle cose belle, al cervello, e lui il cervello comincia a pensare a delle cose che ti fanno star bene no, non funziona così. Era bello, se funzionava così, era comodo.
Il cervello, se te non hai una storia parallela che lo guida fuori dai suoi pensieri, al cervello, lui il cervello ci va a ricadere, nei suoi pensieri.

da Grandi ustionati
di Paolo Nori
(Marcos y Marcos, 2012)