Le multe

In piazza c’era il vigile che fa le multe, che ha un nome specifico che adesso non mi ricordo. La gente a passeggio gli si avvicinava per chiedere se aveva messo le multe, là al parcheggio, e se l’aveva messa alla loro macchina. Il vigile tiene a mente tutte le macchine a cui ha fatto la multa? Inverosimile, mi sembra. Allargava le braccia e s’ingobbiva cercando di spiegare, e le persone, ingrugnite, scattavano di corsa verso il parcheggio. Io giro in bicicletta, che si sta meglio.

Insaponate

Mentre ero sotto la doccia, mi sono venute in mente due cose intelligenti. Adesso, non me le ricordo. È che ho fatto una doccia lunga, ma lunga… Quaranta minuti di doccia. Tre insaponate abbondanti. Mi son lavato troppo. Mi è passata via anche l’intelligenza.

Missione

Mi piacerebbe un giorno avere una figlia femmina. Devo prima trovare una donna che me la fa, poi può anche sposarsi un altro. Basta che mi lasci la creatura. Così poi ci passo del tempo insieme, la vedo mentre cresce e capisco una volta per tutte come sono fatte le femmine. Penso che sarei contento, se lo capissi. Mi sembra l’unica missione sensata che possa esserci nella mia vita, avere una figlia femmina. Vedremo.

Veri

Proprio bella la neve. Proprio belli i paesaggi con la neve. Proprio belle le ragazze che guardano i paesaggi con la neve, dal finestrino del treno. Invece non ho ancora deciso se le ragazze coi capelli bianchi son belle o no. Bianchi veri. Pochi, intendo. Uno qua uno là. Ci devo pensare. Proprio bello pensare al caldo, sul treno, mentre fuori nevica.

Patatine

Sono andato a Bologna per scrivere quella cosa. Mi hanno portato a casa di una signora che si chiama Ivana. Ha settantun anni e vive col marito. Una casa fredda e ombrosa, la casa di Ivana. C’era un albero di Natale senza lucine.
Ivana ha avuto un tumore alle ovaie. Mi ha raccontato la sua storia: l’intervento da sette ore e mezzo, le febbri, i digiuni, la chemio. Tutto il dolore, nei particolari. A un certo punto ho cominciato a sudare. Poi mi fischiava un orecchio. Poi non respiravo.
«Sto male», ho detto. Mi hanno fatto stendere sul pavimento. Il dottore che era lì per lei si è occupato di me. Mi teneva su le gambe e le scuoteva. Ivana era in piedi vicino all’albero di Natale. «Ti immedesimi troppo», diceva. «Pensa a me, quando mi han detto che avevo un tumore… Per due giorni l’ho tenuto segreto».
Suo marito ha portato in tavola l’acqua e un pacchetto di patatine. Il dottore mi ha detto di mangiarle, così le ho mangiate. Dopo sono stato meglio. Ivana ha ricominciato a raccontarmi la sua malattia, ma stava più attenta a cosa dire e cosa no.
«È finita bene questa storia», ha detto alla fine. «Almeno, per adesso sono viva».
«Hai ragione», ho detto io.
«Anche tu, per adesso sei vivo», mi ha detto lei.
Abbiamo riso e ci siam fatti gli auguri di Natale. Suo marito mi ha tenuto il cappotto mentre me lo infilavo, il dottore invece se l’è infilato da solo. Poi siamo andati via.

Dove cazzo sono

Nevicato. Io devo andare a Bologna stamattina, per scrivere una cosa per una rivista. Svegliarsi alle sette è molto brutto. Mi vesto pesante. Poi mi metto le scarpe. Penso: è meglio se mi mettessi gli scarponi, ma chissà dove sono. Forse sono in garage. Non ho tempo di andare in garage.
Sul treno delle sette e trentotto ci sono gli studenti. Mi siedo. Nei seggiolini dietro ci sono tre ragazzi che ridono perché uno di loro si è infradiciato le scarpe. «A casa ho avuto un attimo l’idea di metter le Timberland», dice. «Poi ho detto, dove cazzo sono?».
Siam fatti proprio bene, noi maschi.

Imparare

Oggi al lavoro ero distratto. Non ne avevo voglia. Neanche Ale ne aveva voglia. «Figa poca oggi», gli avevo detto. Lui aveva detto che era per questo che non ne aveva voglia.
Ho riempito l’espositore di tazze con nuove tazze. Tazze di tre tipi. Nove euro e novanta l’una. «Che bello fare colazione con queste tazze», diceva Ale mentre pescavo le tazze dallo scatolone. «Schifosissime tazze», dicevo io.
La gente entra in libreria e ne esce con una tazza, è un fatto sconvolgente. Il mondo è andato proprio a male, siete tutti matti. «L’avresti mai detto che uno va in libreria per comprare delle tazze, prima di lavorare in una libreria?», mi aveva chiesto Ale.
S’imparano sempre cose nuove.

Mia nonna

Si avvicina Natale e mi viene in mente mia nonna. Si chiama Carla. È ancora viva, ma sta passando una vecchiaia indegna. Per una vita si è presa cura di mio nonno, adesso mio nonno ha l’Alzheimer e tocca il culo alla badante dalla mattina alla sera. È diventato violento, ogni tanto tira un cazzotto a mia nonna. Mia nonna non ce la fa più. Non esce di casa. Piange. Non ci sente da un orecchio. Io lavoro in una libreria, dentro un centro commerciale, per sei ore al giorno. Nelle stesse ore, la morte di mia nonna si consuma nella sua casa, al terzo piano di un condominio nel quartiere dell’ospedale.
Mi sembra tutto sbagliato.

Qui

Il tempo passa e io sono questa persona qui. Casco nelle cose come ci sono sempre cascato, mi confondo per la solita confusione e non imparo come si fa.

Seh

Sono al bar. C’è una coppietta molto dolce: si sono seduti uno di fianco all’altra così possono stare vicini. Poi ci sono due ragazze che chiacchierano, di cui una, mora, che mi guarda con ambizione. Seh, magari. Più che altro si starà chiedendo cosa ci faccio, da solo al bar, seduto in un angolo. Cosa ci faccio? Boh. Ci faccio.