Di bello #4

Oggi ho visto, di bello: due sposi, neri, sui quaranta, lui alto, pelato, lei pienotta, bassa, ai Giardini Margherita, con la loro bimba e il fotografo che li fotografava nel prato, poi nell’andar via sono passati davanti a un gruppo di ragazzi, una ha urlato «viva gli sposi!» e tutti han preso ad applaudire, non solo quei ragazzi, anche il resto della gente che era ai Giardini Margherita in quel momento, nei pressi della statua di Vittorio Emanuele II, e la sposa ha detto «grazie, grazie».

Di bello #3

Oggi ho visto, di bello: la donna in tappezzeria, sui sessanta, bionda, bassa, che le ho chiesto un copridivano, rosso, mi piaceva così, lei ne ha tirato fuori uno, giallo, di marca, centottanta euro, ma scontato a cento, deve aver letto la mia faccia, ha detto: «Volevi spender meno, vero?»

Di bello #2

Oggi ho visto, di bello: un uomo, a bordo strada, accovacciato con una cassetta degli attrezzi, smanettava a una centralina, non so di preciso, cacciavite e fili elettrici per le mani, aveva in testa un cappello, stile trilby, linee eleganti ma arancione accesissimo, catarifrangente.

Di bello

Oggi ho visto, di bello: un ragazzo, fisico asciutto, pantaloncini corti, seduto su una panchina, fumava una sigaretta intanto leggeva al cellulare, e spostava gli occhi dal cellulare, in giro, come se cercasse di capire un sentimento.

Ragione

«Certo che dei ragazzi di vent’anni, oggi, fanno più fatica, a trovar lavoro, di quando avevamo vent’anni noi».
E lui aveva risposto: «Io, quando avevo ventidue anni, sono andato in Africa, a lavorare, secondo me si trova ancora, del lavoro, in Africa, o nei Paesi arabi, a cercarlo».
E lei gli aveva detto che però, rispetto a quando erano giovani loro, era un’altra cosa.
«Io» le aveva detto allora lui, «quando ero ancora più giovane, ho lavorato come apprendista salumaio nei prosciuttifici, ho fatto le campagne dei pomodori, ho fatto il facchino, secondo me si trova ancora, lavoro, da apprendista salumaio nei prosciuttifici, o nelle campagne dei pomodori, o da facchino».
Lei gli aveva detto che lui non le dava mai ragione.
Lui aveva detto: «Aah, ma volevi ragione? Scusa, non avevo capito: hai ragione» le aveva detto.

 

da Che dispiacere
di Paolo Nori
(Salani, 2020)

Questa cosa

Non so, di preciso, cosa voglio dire, però se m’impegnassi per trovar le parole, sarebbe una cosa bella, questa che vorrei dire. Ma, mi dico, perché dovrei mettermi a cercar di dirla, questa cosa bella, se già la sento? Non è abbastanza così, per me, sentirla? Se uno vuol far lo scrittore, mi rispondo, no, bisognerebbe impegnarsi per dirla, ‘sta cosa. Trovar le parole e tutto. Ma io, mi controrispondo, stasera non ho nessunissima ambizione, zero, proprio. Quindi, niente. È bellissima così, questa cosa, sentirla e basta. La sento e basta.

Luglio


Lói

 

E’ nóv ad lói, ’na dmènga,
e’ gév’ès vérs al zéinch de dopmezdè,
a Zula, própia in zéima,
ma la chèsa ad Baròus,
mo di dri, tl’òmbra,
tra la siva, che adlà e’ cala zò drétt
ad quèll ’d Lasagna,
e e’ méur, che l’era tótta una vardéura,
s’un vangín che faséva d’ogni tènt
un pó ’d smasír tra ’l cani,
m’un tavuléin i zughéva a trisétt
e i tnéva i sas sal chèrti
pòsta ch’a n vuléss véa.
E quante ma quèll ’d mèna
u i è vnú la crécca ad còppi
e tri tré fal denèri,
l’à gunfiè un pó, mo zétt, u n s’è fat cnòss,
u s’è cònd sla scaràna,
pu l’è scap sl’as, e u n géva ancòura gnént,
mo da la cuntantèzza
l’à dè una bota se lègn
che ti bicír e’ véin l’à tremè tótt,
e la zghéla se zris
la è stèda zétta ad bot da la paéura.
L’aria alòura la è dvénta acsè lizíra
che se crusèri u s’è sintí springnlé
e’ campanèl ruznéid d’na biciclètta,
e alazò, mo dalòngh,
vulè un areoplano sòura e’ mèr.

 

Luglio. Il nove luglio, una domenica | dovevano essere le cinque del pomeriggio, | a Ciola, proprio in cima, | alla casa di Baròus, | ma di dietro, nell’ombra, | tra la siepe, che di là cala giú dritto | nel fondo di Lasagna, | e il muro, che era tutta una verdura, | con un venticello che faceva ogni tanto | un po’ di tramestio fra le canne, | a un tavolino giocavano a tressette | e tenevano i sassi sulle carte | perché non volassero via. | E quando a quello di mano | gli è venuta la cricca di coppe | e tre tre senza danari, | s’è gonfiato un po’, ma zitto, non s’è fatto capire, | s’è accomodato sulla sedia, | poi è uscito con l’asso, e non diceva ancora niente, | ma dalla contentezza | ha dato una botta sul legno | che nei bicchieri il vino ha tremato tutto, | e la cicala sul ciliegio | ha taciuto di botto dalla paura. | L’aria allora è diventata così leggera | che sul crocicchio s’è sentito pigolare | il campanello arrugginito di una bicicletta, | e laggiù, ma lontano, | volare un aeroplano sopra il mare.

 

da La nàiva. Furistír. Ciacri
di Raffaello Baldini
(Einaudi, 2000)

L’ho sentita tutta

La Renata, cla sàira.
Quatar bal atachèd, senza dí gnént,
a i ò ciap una mèna
e la m’è vnéuda dri cmè una burdèla,
fina la Bosca, a stémmi sémpra zétt,
a la ò zirca te schéur, a n’i cridéva,
a la ò sintéida tótta,
e cla bòcca, cl’udòur, la camisètta
sbutunèda, a treméva,
e sòtta senza gnént, u i era li,
la è vnéuda zò pianín, dòulza, si ócc céus.
E pu la dmènga dop la s’è spusèda.

 

La Renata, quella sera. | Quattro balli di seguito, senza dire niente, | le ho preso una mano | e mi è venuta dietro come una bambina, | fino alla Bosca, stavamo sempre zitti, | l’ho cercata nel buio, non ci credevo, | l’ho sentita tutta, | e quella bocca, quel profumo, la camicetta | sbottonata, tremavo, | e sotto senza niente, c’era lei, | è venuta giú piano, dolce, con gli occhi chiusi. | E poi la domenica dopo s’è sposata.

 

da La nàiva. Furistír. Ciacri
di Raffaello Baldini
(Einaudi, 2000)

Annibale

Da allora, dal gennaio del 1846, a oggi, di pareri e di critiche su quell’opera ce ne sono stati tantissimi. Uno dei più recenti è di un signore che si chiama Annibale e che, il 18 aprile del 2014, sul sito www.amazon.com, ha recensito così il romanzo d’esordio di Dostoevskij, Povera gente: «Ricevuto il libro entro i termini fissati, molto curato l’imballo, ottima la qualità, mio figlio suggerisce a tutti questo venditore, saluti Annibale».

 

da Sanguina ancora
di Paolo Nori
(Mondadori, 2021)

Una cosa

C’è una cosa, di me, che proprio non riesco a capire. Ci penso, mi dico, possibile? Analizzo, metto in conto tutto, con pazienza, che a far così delle volte ci si riesce, a capire. Invece non capisco niente, di ‘sta cosa. Andiamo avanti.