Bello. Adesso muoio. Ciao.

Dipinto di Jack Kerouac, Sacred Heart.

È stato un giorno strano ieri, cominciato male: ero in bicicletta, forbici e scotch nelle mani, sotto un portico, vicino a una grondaia, che stavo attaccando un volantino; li ho fatti io, scritti e stampati, poi li ho tagliati e ho fatto le frangette col mio numero di cellulare; tutto sommato un volantino curato, editoriale oserei dire, e insomma lo stavo attaccando, era l’ultimo, ne avevo stampati più di trenta e quello era proprio l’ultimo, ero lì sotto un portico vicino alla grondaia e pensavo: «Ma non è meglio che non lo attacco, visto che è l’ultimo?»
Potevo tenerlo per ricordo o ci potevo far le fotocopie, tra due o tre mesi quando mi sarebbero riserviti. Ma poi no, ho detto: «No, lo attacco», e l’ho attaccato per bene, con lo scotch di qua e di là, dritto perfetto, un bel lavoro, e visto che era l’ultimo, l’ultimissimo, mi è venuta voglia di leggerlo.
E poi arrivo in fondo, dove ci sono le frangette con scritto il mio numero, scritto piccolino, e leggo anche lì, e rileggo due volte…
Non è possibile. Ho sbagliato a scriverlo? Trenta volantini dappertutto col mio numero sbagliato?
Mi son sentito un idiota, ma un idiota vero, autentico. E adesso?
Adesso mi tocca rifarli tutti e staccare quei vecchi e attaccare quei nuovi: un lavorone. E poi non mi ricordo tutti i posti dove li attaccati, come faccio? Niente, ho lasciato perdere e son tornato a casa, ho buttato lo zaino per terra e mi sono steso sul divano, gambe lunghe, coperta, mani sulla pancia, e ho dormito quattro ore, tutto il pomeriggio. Mi son svegliato che era notte. Non capivo più niente. Mi son messo seduto sul divano e ho pensato: «Ma cosa è stato?». E non era per i volantini, ma per il sogno che avevo fatto. Non ho mai fatto un sogno così.
Insomma in giro, nei telegiornali, dappertutto nel sogno, dicevano che era l’ultimo giorno del mondo. L’ultimo. Dicevano che quella notte sarebbe scoppiato il cielo e saremmo morti tutti. Alcuni erano preoccupati, altri no, non si capiva bene. E io, quella sera, chissà perché, ero a San Mauro Pascoli, in piazza, forse perché San Mauro Pascoli è dove abitano i miei nonni, ma non c’erano i miei nonni, c’era la Martina, una che abitava a San Mauro un po’ di anni fa, e lei era lì nel mezzo della piazza e io le ero andato incontro e l’avevo salutata, ma poi il cielo aveva cominciato a spaccarsi. C’erano delle crepe d’argento luminose, e poi le luci e dei buchi verdi gialli rossi e si sentivano scoppi di continuo. A un certo punto si è cominciata a muovere la terra sotto i piedi, a piegarsi, ad alzarsi come le onde, e io e la Martina eravamo scappati, tutti correvano, cercavamo di salvarci perché c’erano dei punti dove l’ossigeno veniva meno, allora correvamo ma non tanto per salvarci, era per vedere, volevamo vedere fino in fondo.
Era arrivata un’onda altissima come nei film mentre correvamo, e c’eravamo riparati dietro una casa e un sacco di gente era stata travolta, proprio una valanga d’acqua, ma noi stavamo bene, eravamo come DiCaprio e quell’altra sul Titanic, uguali, andavamo per mano, e poi il cielo era sempre peggio e io pensavo ai miei genitori e ai miei nonni, chissà dov’erano, se erano già morti, e in pratica il cielo si era bucato, si vedeva l’universo e non si respirava più, e la Martina l’avevo persa di vista così avevo tirato fuori il cellulare e c’era un messaggio di mio babbo che diceva: «Bello. Adesso muoio. Ciao».
E poi il buio, le urla…
Mi son svegliato per un rumore in casa ma poi mi sono rimesso giù, per vedere come finiva. E il sogno è continuato in un altro posto, la Martina non c’era, era una specie di prigione e io ero lì con altri che dovevamo fare dei lavori, perché nel mondo nuovo si doveva fare così, e ogni tanto uno lo liberavano e passavano i giorni e c’erano alcuni che erano lì da tantissimo ma non li liberavano, invece a me sì, mi hanno fatto uscire, e quando sono uscito ho scoperto che la fine del mondo era stata tutto uno spettacolo, se l’erano inventata quelli della televisione, e adesso era uscito il libro che spiegava tutto. Ma la Martina? Era viva o no?
Allora ho pensato che quel sogno era stato colpa dei volantini, che sono un idiota, devo rifar tutto, è vero, e anche con la Martina nella realtà è andata malissimo, e anche con lei se voglio, se vuole anche lei, che non è detto, bisognerebbe rifare tutto.
E poi ho pensato che se uno vuole non si deve abbattere, non deve aver la pigrizia, anzi deve essere contento di rifare le cose perché questo è il mondo e se un giorno finisce, dopo non si può più rifare niente. Invece è bello il mondo, è molto bello. Come diceva il messaggio di mio babbo sul cellulare: «Bello. Adesso muoio. Ciao».
Adesso correggo il mio numero sui volantini, li ristampo, esco e prendo la bicicletta e faccio il giro del quartiere, vado sotto quel portico vicino alla grondaia, e poi giro anche tutta Bologna, e anche l’Italia, il mondo, coi miei volantini nuovi, vado dappertutto. E non torno a casa finché non scoppia il cielo.