Quelli che sono vivi

Io non dimentico niente, ma perdono tutto. Perdono mia madre e mio padre per avermi voluto sempre vicino e per essersi straziati l’anima vedendomi andar via, perdono i loro sogni mancati e incancreniti fino a diventare incubi, il loro fango, il fango familiare che poi si allarga a macchia d’olio nell’educazione scolastica, i luoghi di lavoro, i modi con cui la gente entra in relazione in metropolitana, in ascensore e nei propri letti matrimoniali. Quelli che sono vivi occupano sempre spazio: io li perdono tutti.

 

da La fuga dei corpi
di Andrea Gatti
(Pidgin, 2021)

Faccia storta

Uscire dall’arte è impossibile, così come lo è uscire dalla lingua. Perfino quando tacciamo lo facciamo in una determinata lingua. Per questo l’arte siamo noi. Noi siamo compenetrati d’arte. Ora è malata, perché siamo noi a essere malati, soprattutto in questo periodo. Siamo malati e ci lamentiamo di avere un’arte malata. Ma lo sapete, no, il proverbio: non te la prendere con lo specchio, se hai la faccia storta.

 

da Conversazioni sulla cultura russa
di Jurij Lotman
(Bompiani, 2018)

In pochissimi

Lo amo. Questa è, sa?, una parola strana, che tutti pronunciano ma pochissimi sanno che cosa vuol dire. Amare è come se significasse essere destinati alla poesia e alla virtù. Ma di questo sentimento sono capaci in pochissimi. Le nostre contadine, invece della parola amare, usano la parola compatire. Non dicono: mi ama, dicono: mi compatisce. Secondo me è molto meglio, è una definizione più semplice. Amare – compatire significa amare in senso quotidiano.

 

da A proposito della sonata a Kreutzer
di Nikolaj Leskov
(Marcos y Marcos, 2016)

Il sette o l’otto

Mi è capitato un caso sorprendente: di colpo ho dimenticato cosa viene prima, il sette o l’otto.
Sono andato dai vicini e ho chiesto cosa ne pensassero.
Qual è stata mai la loro e la mia meraviglia, quando si sono resi conto di colpo che neppure loro riuscivano a ricordare l’ordine dei numeri: uno, due, tre, quattro, cinque e sei se li ricordavano, ma quello che viene dopo se l’erano dimenticato.
Tutti insieme siamo andati al negozio Gastronomia all’angolo tra la Znamenskaja e la Bassejnaja, e ci siamo rivolti con il nostro problema alla cassiera. La cassiera ha sorriso con tristezza, ha tirato fuori dalla bocca un martelletto e, muovendo leggermente il naso, ha detto:
«Secondo me, il sette viene dopo l’otto nel caso in cui l’otto venga dopo il sette».
Abbiamo ringraziato la cassiera e felici ci siamo precipitati fuori dal negozio. A questo punto, però, riflettendo bene sulle parole della cassiera ci siamo avviliti di nuovo, perché esse ci sono sembrate prive di senso.
Che fare? Siamo andati al Giardino d’Estate e là ci siamo messi a contare gli alberi. Ma arrivati al sei ci siamo fermati e ci siamo messi a discutere: secondo alcuni dopo veniva il sette, secondo altri l’otto.
Saremmo rimasti lì a discutere per un bel pezzo se per fortuna a un certo punto da una panchina non fosse caduto un bambino, rompendosi tutt’e due le mascelle. Il fatto ci ha distolto dalla nostra discussione.
Poi siamo tornati ognuno a casa sua.

 

da Casi
di Danill Charms
(Adelphi, 2014)

Loro

Mia figlia l’altro giorno sono arrivato che si era appena svegliata, era ancora a letto, Ciao, le ho detto, come stai?
Ssssh, mi ha detto lei, che dormono.
Chi è che dorme?
Loro, mi ha detto lei, e ha indicato i suoi piedi.

 

da Mi compro una Gilera
di Paolo Nori
(Feltrinelli, 2008)

I miei cioccolatini

Perché tengo da conto, io, è questo che lei diceva il vuoto, che io sento il vuoto, non butto via niente, tengo da conto tutto, ma non è una passione, non è che sia tirato, che sia uno spilorcio, non è micragna, sì, delle volte dico: questo può venir buono, quest’altro può venir buono, ma non è per questo, io, è un istinto, di tenere da conto, mi ricordo da bambino che mia zia quando ci veniva a trovare mi portava due tre cioccolatini, e io non li mangiavo subito, dicevo: li mangio dopo, e li portavo nella mia camera, in un cassetto del credenzino, e ne avevo accumulati, tanti di quei cioccolatini, dicevo li mangio quando ne ho proprio voglia, che se aspetti, hai sempre più voglia e più hai voglia più è buona la roba, e io aspettavo, che mi venisse sempre più voglia, e la voglia non ne avevo mai abbastanza, no, voglio aspettare un altro po’, domani, dopodomani, fra una settimana, ed è successo che i cioccolatini, la cioccolata col tempo si guasta, non tiene botta, fa quella brina, e poi è muffa, si deteriora, non la mangi più, diventa come della sabbia, niente, è cattiva, e i miei cioccolatini…

 

da La fondazione
di Raffaello Baldini
(Einaudi, 2017)

L’estetica no

E una conferenza che Brodskij tiene a Vienna, nel dicembre del 1987, finisce con una frase che, forse, riassume l’estetica di Brodskij (Brodskij, tra etica ed estetica, propone di puntare sull’estetica, perché l’etica può essere simulata – “Non c’è niente di più facile che simulare i nobili princìpi” – l’estetica no).

 

da I russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa (1820 – 1991)
di Paolo Nori
(UTET, 2019)

Regno dei cieli

Fuori ci son dei trabiccoli, tipo due bachechine appoggiate per terra che si reggono una sull’altra, dove il parroco scrive dei messaggi evangelici, non so, per esempio ai tempi del Crac della Parmalat scriveva delle cose del tipo È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli.

 

da Mi compro una Gilera
di Paolo Nori
(Feltrinelli, 2008)

 

L’immagine di un letto

Isabel non fa mai pensare a una camera da letto. Patricia, invece, la associo sempre all’immagine di un letto.
Dicono… Ma io non do peso a quello che dice la gente. Tanto per cominciare, diffido dei pettegolezzi. E poi nutro un’istintiva ripugnanza per l’indiscrezione, e a maggior ragione per la calunnia.

 

da La mano
di Georges Simenon
(Adelphi, 2021)