Ci accade

“Il desiderio non è una cosa semplice” diceva Freud. Eppure a volte l’esperienza empirica sembrerebbe dirci il contrario: non sarebbe difficile elencare tutti i beni materiali, gli oggetti e le esperienze di cui vorremmo entrare in possesso se potessimo rispondere alla classica domanda “esprimi un desiderio”, come accade ad Aladino nella favola de Le mille e una notte. Tuttavia la psicoanalisi ci insegna a non confondere il desiderio con la volontà. Se è vero che viviamo in una società che ha monumentalizzato la volontà senza limiti – “sapere quello che si vuole”, la cosiddetta self-confidence, sembra essere diventata la più grande delle qualità – il luogo del desiderio pare essere sfuggente. Al di là delle merci, al fondo di tutte le cose che vorremmo, c’è qualcosa che rimane opaco, qualcosa che non può essere espresso. Lacan diceva che il desiderio è segnato da una mancanza fondamentale: che non vuol dire, come molti pensano, che la rinuncia e l’infelicità siano il destino ineluttabile di questo mondo, ma semplicemente che la conoscenza di quello che desideriamo è mancante anche a noi stessi. Non lo possiamo esprimere proprio perché non ne sappiamo nulla. È il punto cieco della nostra coscienza.
L’inglese, che in questo è più preciso dell’italiano, separa il wish dal desire: possiamo pure volere (wish) una serie infinita di oggetti, eppure c’è qualcosa di questa volontà che finisce per mancare. Il desire è ciò che spezza l’appropriabilità infinita degli oggetti e delle cose. Nelle intricate logiche della vita amorosa noi possiamo scegliere tutte le donne e gli uomini di questo mondo – come succede con Tinder – eppure quello che desideriamo non lo scegliamo. Semplicemente ci accade. E anzi, spesso, non lo vorremmo neppure, perché il desiderio viene a squarciare il benessere della vita quotidiana.

di Pietro Bianchi, da Il desiderio non è una cosa semplice,
Doppiozero, 02/02/2018.