L’endotico

I giornali parlano di tutto tranne che del giornaliero. I giornali mi annoiano, non mi insegnano niente: quello che raccontano non mi riguarda, non mi interroga e tantomeno risponde alle domande che faccio o vorrei fare.
Quello che succede davvero, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede tutti i giorni e che torna a succedere ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, come renderne conto, come interrogarlo, come descriverlo?
Interrogare l’abituale. Ma, appunto, ci siamo abituati. Non lo interroghiamo, non ci interroga, non ci sembra costituisca un problema, lo viviamo senza pensarci, come se non veicolasse né domande né risposte, come se non contenesse nessuna informazione. Non è nemmeno più un condizionamento, è l’anestesia. Dormiamo la nostra vita di un sonno senza sogni. Ma dov’è, la nostra vita? Dov’è il nostro corpo? Dov’è il nostro spazio?
Come parlare di queste “cose comuni”, o, piuttosto, come braccarle, come stanarle, come staccarle dal pietrisco nel quale sono inglobate, come dar loro un senso, una lingua: che parlino, infine, di quello che è, di quello che siamo.
Forse di tratta di fondare, finalmente, la nostra antropologia: quella che parlerà di noi, che cercherà, dentro di noi, quel che abbiamo sottratto, così a lungo, ad altri. Non più l’esotico, ma l’endotico.
Interrogare quello che sembra talmente evidente che ne abbiamo dimenticato l’origine. Ritrovare qualcosa dello stupore che potevano provare Jules Verne o i suoi lettori davanti a un apparecchio capace di riprodurre e trasportare i suoni. Perché è esistito, quello stupore, con migliaia di altri, e sono loro che ci hanno plasmato.
Quel che bisogna interrogare sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, il modo in cui passiamo il tempo, i nostri ritmi. Interrogare quel che sembra aver smesso per sempre di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo; camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. Come? Dove? Quando? Perché?

da L’infra-ordinario
di Georges Perec
(Bollati Boringhieri, 1994)