Lingue

Son stato cattivo, a pensarci, mi sono comportato male, potevo essere più morbido, parlare meno, e invece ho esagerato, l’ho spaventata, alla poverina. Le ho detto una roba che è stata come una bomba, per lei, e si è tutta rannicchiata, sulla sedia, col mento in sotto, le braccia conserte, e mi guardava da sopra gli occhiali, la bocca stretta, non ha risposto niente, per un po’. Silenzio… Poi si è tirata su, mi ha fatto un sorriso e ha detto:
«Vabbè, comunque l’amore è cieco».
Ancora con questa storia dell’amore cieco? Io non ci credo. E poi cosa vuol dire, l’amore è cieco? A me sembra che l’amore ci vede bene, benissimo, e che vede tutto, è intuitivo, ti batte sul tempo, tac, e ci arrivi dopo a capirlo, che ti sei innamorato.
L’amore non è cieco, l’amore vede oltre i muri. Vallo a dire ai ciechi, che l’amore è cieco. Ti ridono in faccia. Perché quando uno s’innamora, se è cieco, io son sicuro che per un po’ di tempo si scorda di essere cieco, e gli sembra di vedere tutto. Ciechi sono i presuntuosi che vogliono star da soli a tutti i costi, quelli sì che sono vicoli ciechi. L’amore è un’alba vista dal tetto di un grattacielo, in due.
Comunque, stavo dicendo, lei mi fa: «Vabbè, l’amore è cieco». La capisco, l’ha detto per cambiare discorso, per difendersi, perché l’avevo messa in difficoltà, e allora ha detto la prima roba che le è venuta in mente e ha sviato. È stata colpa mia, son stato io che le ho fatto dire che l’amore è cieco. Mi devo scusare. Ma lì per lì, non so, i suoi occhi, i suoi capelli, le sue braccia conserte, era tutto il pomeriggio che la guardavo, e mi chiedevo: “Ma è bella o non è bella?”.
Mi sporgevo un po’ avanti, per vederla, profilo destro e sinistro, volevo capire, e dopo ho deciso che sì, era bella. E poi era buona, ascoltava, mi ha raccontato che ha fatto un viaggio nel Vietnam, un anno e mezzo, da sola, e adesso abita nel Brennero, sui greppi, col suo moroso, un tedesco, che l’ha conosciuto in Vietnam… Stanno là in montagna, d’inverno sciano, ha detto che quest’inverno ha sciato un sacco, e poi fanno le robe che si fanno al freddo, tipo cucinare il riso al radicchio, e un po’ le manca la vita della città, però il tempo, diceva, il tempo in montagna è tutta un’altra cosa…
Aveva voglia di giocare con me. Siamo andati a vedere un monumento, una roba d’arte contemporanea, che c’erano due statue che trasportavano una canoa ribaltata, con la testa sotto la canoa, e siamo andati insieme, anche noi, con la testa sotto la canoa, è stato bello, non ci vedeva nessuno, io e lei, sotto la canoa, nel buio, lei ha riso, io la guardavo negli occhi, così.
Ma ho sbagliato, ho sbagliato tutto. È successo dopo, quando siamo andati a mangiare, al buffet, con gli altri, che parlavano delle lingue, di chi ha studiato lingue, che le lingue sono una roba che le odio, io, mi dà fastidio solo sapere che esistono, l’inglese, non c’è roba che mi annoia di più delle lingue, e lei ha tirato fuori la sua carta d’identità in doppia lingua, italiano e tedesco, perché si è trasferita nel Brennero, e addirittura gliel’hanno fatta verde, la carta d’identità, non marrone, verde.
E poi ha detto che lei, se avesse una figlia, forse, anche se non è tanto d’accordo sulla divisione delle scuole in scuole italiane e scuole tedesche, la manderebbe alla scuola tedesca, sua figlia.
Io stavo lì, annuivo, le davo attenzioni, intanto pensavo a quelle due righe di Thoreau, che mi son rimaste impresse, quando dice: Se vuoi imparare a parlare tutte le lingue e abituarti ai costumi di tutte le nazioni, se vuoi viaggiare in luoghi dove gli altri viaggiatori non giungono, essere abituato a tutti i climi e far sì che la Sfinge sbatta la testa contro una pietra, obbedisci al precetto del vecchio filosofo ed esplora te stesso. Questo sì, richiede occhio e nervi saldi. Parti ora per quella più lontana via dell’Occidente che non s’arresta al Mississippi o al Pacifico, né conduce verso una Cina o un Giappone usurati, ma conduce, su una tangente a questa sfera, d’estate e d’inverno, di giorno e di notte, al tramonto del sole e della luna, e infine, della Terra.
E poi, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ha detto che lei, a casa, col suo moroso tedesco, conosciuto in Vietnam, parlano in inglese. Son scoppiato. Ho detto:
«Cosa?».
Lei ha detto:
«Sì», orgogliosa.
«Sì cosa», le ho detto. «Fai davvero?».
E lei:
«Perché? Problemi?».
Allora l’ho presa larga, ho detto che io le lingue, non so, c’è gente che sa sette lingue ma parla per frasi fatte, ho detto, che è brutto, e lei si è fatta seria, mento in sotto, come dicevo, indietro con la schiena, e l’unica cosa che è stata buona di dire è stata:
«Vabbè, comunque l’amore è cieco».
Io pensavo ancora a quel passo di Thoreau, fortuna che è esistito Thoreau.
Dopo abbiamo continuato a mangiare, ma si era rovinato qualcosa, non c’era modo di rimediare, mi è dispiaciuto, ho esagerato, le ho fatto male, le ho messo in discussione una roba che per lei andava bene, non aveva dubbi.
Io non voglio parlar male di nessuno. Per carità. Ma come si fa? Cosa c’è di bello in una famiglia fatta così, una ragazza italiana che si è trasferita in montagna perché ha conosciuto un tedesco mezzo turco in Vietnam, tra loro parlano inglese e vogliono una figlia da mandare alle scuole tedesche… Mi viene il mal di mare. Che bisogno c’è?
Se la rivedo, giuro, faccio il bravo, la tratto bene, ci parlo io, in italiano; sento la missione di farla ragionare, le caccio due tre frasi a effetto e se torniamo là, a vedere quel coso d’arte contemporanea, con le due statue che tengono su la canoa, se ci andiamo sotto, se ci torniamo insieme, le vado vicino, giuro, ci provo, le tiro su il mento, le metto una mano sulla guancia, la guardo negli occhi, e provo a tirar fuori la lingua, per vedere se capisce, io, che lingua parlo.