L’occhiata e Schifiltoso

L’occhiata

Il signor Leo va quasi tutti i giorni a trovare Velio Betti in bottega. Se il tempo è buono si mette a sedere sulla porta, tiene le mani incrociate sul bastone, fa due chiacchiere o sta zitto. Per il sole ha gli occhiali neri e certe volte si porta dietro il giornale. Va lì per stare un po’ in compagnia, lui e il babbo di Velio da giovani erano amici, e anche perché a Velio quattro anni fa ha prestato dodici milioni per comprare i muri. Ma non è che gli stia addosso, che dica niente. Viene a dare un’occhiata.

Schifiltoso

Uno così schifiltoso non l’ho mai visto. Tutto il giorno era dietro a lavarsi le mani. Teneva il manico della tazza del caffè verso l’alto, dritto al naso, beveva dove non beveva nessuno. D’estate l’aranciata la prendeva sempre con la cannuccia. E anche nelle baldorie guai a sbagliare bicchiere, aveva schifo di tutti, un ultimo dell’anno, che gli era caduto per terra il cucchiaino, ha lasciato lì a metà la zuppa inglese. Non stringeva la mano a nessuno, con la gente stava sempre un po’ lontano, e quando qualcuno si riscaldava nel parlare e gli veniva troppo vicino, e per di più magari sputacchiava un po’, lui si strisciava una mano sulla faccia, come non volendo, come se si grattasse la barba, e poi invece la mano se la fermava aperta sotto il naso, contro la bocca. Che mettersi a sedere su una sedia calda da cui s’era appena alzato qualcuno preferiva piuttosto stare in piedi. Quando viaggiava in treno non toccava mai niente, e nello scendere si prendeva alla maniglia con due dita. Ogni tanto si faceva rapare a zero per rinforzare i capelli, ma anche perché i capelli erano un ricetto di polvere, di porcheria, di microbi. Aveva sempre paura delle infezioni, di prendere le malattie, che gliele attaccassero. Nominava spesso la Tina di Zioli che da ragazza nel grattarsi un foruncolo con le mani sporche s’era fatta venire il sangue e tre giorno dopo aveva quaranta di febbre e non c’è stato niente da fare. A un cane non ha mai fatto una carezza, nello spaccio non l’hanno mai visto leccare un francobollo. Era sempre pulito, anche un po’ profumato, perché il profumo in fondo disinfetta.
E col tempo poi la gente ha capito, non gli stavano vicino, il barbiere aveva un rasoio solo per lui, non gli domandavano in prestito nemmeno il giornale. Ma non è bastato. È morto tisico a trent’anni.

da La náiva Furistír Ciacri
di Raffaello Baldini