Un uomo!

Lavoravo al seggio elettorale, era per il referendum del duemilasedici, l’ultimo che c’è stato, quello che ha schiantato Renzi. Saranno state le quattro del pomeriggio, finalmente, il primo momento morto dopo l’ondata della mattina, tutto quel via vai di gente, la fila, le carte d’identità, le patenti spellate, le nonne, uomini, donne, e certi che venivano col cane; si vota col cane, adesso? Stavamo parlando un po’, io e Carlo. Carlo era l’altro scrutatore. Lui si era preso il registro delle femmine e io quello dei maschi, perciò lui chiamava le donne, io invece chiamavo “un uomo!”, di continuo, uno dietro l’altro, “un uomo!” e le donne là, sulla porta, si giravano indietro e ripetevano “un uomo!”, e finalmente un uomo entrava. Veniva da me, io registravo tutto, e poi l’uomo andava a votare. Come dicevo, verso le quattro del pomeriggio, in un momento di calma, quando molli, che ti stravacchi sulla sedia, sbadigli a cannone, e ti parte anche lo spirito di scherzare, in un momento così, è arrivato questo qua, un certo Castellani, sui cinquanta. Aveva i capelli che gli stavano su a strati, come il Grand Canyon, e le attaccature nere dei denti alle gengive, nere, nerissime. Castellani ci ha messo del tempo per votare, nella cabina, forse era indeciso. Carlo, intanto, c’aveva sotto mano la carta d’identità di una che si chiamava Silvia, che a suo tempo aveva un moroso che andava in motocross. La Silvia aveva votato in un baleno, si vedeva, non aveva dei gran dubbi dietro gli occhi. E quando Castellani era tornato da me a riprendersi i suoi documenti, mentre pensavo a cosa mangiare dopo, e ai cani in fila fuori, a quanti cani ci sono, e a quanto sono pochi i ragazzini per strada ultimamente, mi è scappata di bocca una roba soprappensiero. Non l’ho fatto apposta. È che mi ero rilassato troppo. Ho detto: «Prego, Castellàz», e gli ho allungato i documenti. Castellani li ha presi e ci ha pensato un attimo a quel Castellàz, mi ha guardato da lì, in piedi, e io l’ho guardato da seduto, basso come un cane. Poi lui ha detto: «Cosa?»
Carlo ha cominciato a ridere sottobanco, piegato con la faccia sui registri, che scriveva per far finta di far qualcosa. Anche me è venuto da ridere, poi la gravità mi ha circondato e ho sentito il rischio tutto attorno, il pericolo, non sapevo cosa fare, cosa dire, se scusarmi; ho detto: «Mi scusi?»
E Castellani fa: «Ci si diverte qui.»
A quel punto mi sono girato verso le donne sulla porta, in fila, per suggerirgli che invece c’è da fare, e che è ora che si levi dai coglioni. Sono tornato serio tutto d’un botto, ed ero pronto per dire una parola netta, solida, e cavarmelo da lì davanti, ma senza darmi il tempo di aprir bocca, Castellani ha preso su i documenti, così, agilissimo, ed è andato via. E con tutta un’altra voce, che ci ero rimasto un po’ sconfitto, ho chiamato: «Un uomo!»