Uscirne vivi

Possibile che mia madre non l’abbia mai saputo? Che non sapesse che i Netterfield avevano abitato lì e che perciò la vecchia stava guardando dalle finestre di quelle che era stata casa sua?
È possibile. In vecchiaia sono diventata curiosa quanto basta per accollarmi la noia di controllare documenti e dati, e così ho scoperto che da quando i Netterfield vendettero a quando i miei si trasferirono parecchie famiglie si erano avvicendate in quella casa. Viene da domandarsi come mai l’avessero messa in vendita mentre la proprietaria aveva ancora qualche anno da vivere. Che fosse rimasta vedova, a corto di finanze? Chi lo sa. E chi era poi venuto a portarsela via, secondo quanto aveva detto mia madre? Magari la figlia, la stessa che scriveva poesie e risiedeva in Oregon. Forse era quella figlia, ormai adulta e lontana, che la vecchia cercava nella mia carrozzina. L’attimo dopo che mia madre si era precipitata a prendermi in braccio, perché ne uscissi viva, come diceva lei.
La figlia non abitava lontano da dove rimasi per un certo periodo della mia vita adulta. Avrei voluto scriverle, persino farle visita. Se non fossi stata così presa dalla mia giovane famiglia e dalla mia scrittura invariabilmente inadeguata. Ma la persona con cui al tempo avrei davvero voluto parlare era mia madre, ormai non più raggiungibile.

Non tornai a casa per la sua ultima malattia e nemmeno per il funerale. Avevo due bambini piccoli e non avrei saputo a chi lasciarli, a Vancouver. Avremmo fatto anche fatica a spendere i soldi del viaggio, e mio marito era il tipo che sdegna le formalità, ma perché scaricare la colpa su di lui? La pensavo così anch’io. Di certe cose diciamo che non si possono perdonare, o che non ce le perdoneremo mai. E invece poi lo facciamo, lo facciamo di continuo.

da Uscirne vivi
di Alice Munro
(Einaudi, 2014)